“Non temere il proprio tempo è un problema di spazio” (CSI, Linea gotica, 1996).
Premessa
La nostra specie migra da quando esiste.
Il lavoro che proponiamo risponde al tema di FE2025 “Avere vent’anni” da un punto di vista parziale e situato senza la pretesa di affrontare il fenomeno globale e complesso delle migrazioni.
Per semplicità di accesso abbiamo utilizzato i soli dati relativi ai giovani (18-34 anni) di ogni cittadinanza residenti sul territorio italiano. La cifra complessiva delle migrazioni in uscita dice esclusivamente la grandezza del fenomeno: nell’ultimo decennio sono espatriate circa 471 mila persone (Rapporto Italiani nel Mondo 2024) e nell’ultimo anno (2023) circa 652 mila si sono spostate internamente al territorio nazionale (ISTAT). Mentre i dati dell’ultimo ventennio, consultati in modo comparato e in ordine temporale, dicono che a partire dal 2014 c’è stato un incremento progressivo delle migrazioni sia interne che per l’estero. Il decennio 2014 – 2024 è anche quello dei primi ventenni della cosiddetta Generazione Z, nata fra il 1996 e il 2012 e che oggi ha fra i 13 e i 28 anni. Nel 2014 la Gen Z diventa maggiorenne e comincia a muoversi, di più delle altre.
Questa osservazione-suggestione è stata l’incipit del nostro lavoro.
ETHOS / EPOS / PATHOS
“Il tempo si lacera. (…) Domani, ieri, che vogliono dire queste parole? Non c’è che il presente. (…) Tutto ciò che è adesso. Non è stato, non sarà. È . Sempre. Tutto insieme. Perché le cose vivono in me e non nel tempo. E in me tutto è presente.” (Ágota Kristóf, Ieri, 1995).
“Quindi: partiamo. / E quanto lontano. Quanto lontano dovremo andare. / Laggiù, allo scoglio del globo, / all’Isola del Fosco Granaio.” (Giorgiomaria Cornelio, La specie storta, 2023).
Figli di una generazione precaria, i nati attorno al millennio sono già iniziati all’incertezza. Il loro essere nel mondo ha ereditato l’attitudine del mancino zoppo (Serres, 2015), uno squilibrio favorevole all’avanzata di traverso e un po’ sghembi, utile a percepire la realtà da un’altra angolazione e in movimento. La Gen Z è già in cammino e il viaggio non è una passeggiata, è un’epica contemporanea, globale e senza appigli. La partenza ha avuto spinte individuali per alcuni oppure ha una catastrofe alle spalle, oltre quella che è già, dappertutto. Ciò che condannava le generazioni precedenti a uno strappo scomposto ha forse smesso di essere un doloroso inceppo oppure è crollato un altro equilibrio. La motivazione è per tutte e tutti colonizzata da un desiderio di futuro che rende il viaggio un pellegrinaggio dentro l’esperienza vissuta, privo di meta e privo di ritorni a casa.
Questa antropologia della speranza è restituita da SUOLOcollettivo attraverso la fotografia per rivelare la parte delle cose che eccede i dati statistici, provando a immaginarla, a sentirla nostra. Rinunciando a un’analisi sociologica ci siamo soffermati sulla componente intima del migrare, vissuta all’interno di una micropolitica del divenire che abbiamo raccontato in tre atti: Ethos / Epos / Pathos.
Ethos
L’ethos è al principio. Una pre-disposizione che acquisiamo dalla comunità d’origine, un ethos popolare nel senso hegeliano, quale insieme di valori e consuetudini interiorizzati per finalità sociali che modellano il comportamento, l’etica. Essendo connesso alla provenienza, l’ethos è accordato al paesaggio. Dire sono di dichiara un’appartenenza, sottende la discendenza famigliare, la formazione genetica, e anche la forma ontologica. È il riconoscimento che i luoghi d’origine agiscono sul modo di essere e sentire, ovvero la geografia fisica struttura quella emotiva.
Ethos e paesaggio, al pari di una dotazione originaria, conformano l’alfabeto percettivo che continuerà ad agire in background durante l’esistenza, negli spostamenti e nelle localizzazioni successive, orientando i sensi. Anzi disorientandoli. Quando si migra, interagire con luoghi nuovi sarà sempre spaesante, letteralmente, nella misura in cui il termine paese, presente e sottratto assieme, provoca un disorientamento. Cos’è infatti lo spaesamento se non un turbamento provocato dall’estraneo che scardina il familiare o viceversa dal domestico che si insinua nell’ignoto?
> Nelle fotografie: i paesi, come corpuscoli addossati a un paesaggio enormemente più grande, mostrano la loro dimensione conclusa, controllata, domestica. L’ETHOS si accorda a questa dialettica.
Epos
L’epos è narrazione. Il racconto del viaggio per trovarsi che attorno ai vent’anni spinge a lasciare un sé generato da altri per cercare un sé fra gli altri. Nelle società tradizionali il rito di passaggio fra adolescenza e età adulta comincia con una defamiliarizzazione, attraversando un bosco come una soglia, e approda nella comunità di destinazione. Nella società contemporanea la transizione liminale assume forme e risvolti esclusivamente individuali, nessuna comunità attende oltre l’ignoto, ma ancora bisogna smarrirsi per potersi ritrovare.
L’estraneo scardina il familiare e la dispersione viene incorporata negli atteggiamenti, nel linguaggio, nei gusti, mentre nuove domesticità si insinuano nell’ultimo ignoto di un corpo che è il primo luogo del selvaggio. L’irriducibile. (Pugno, 2018). Il corpo, immanenza e presente, ma anche simultaneità fra passato che non si è più e futuro che non si è ancora, è come un racconto in cui convivano più temporalità oltre a quella in cui si narra. Un corpo-epos, epica palpabile dell’erranza, migrazione o esilio che conduce a sé.
> Nelle fotografie: corpi-paesaggio ispirano mappe. Che si tratti di riferimenti servibili oppure di traiettorie spaesate, le emozioni inventano luoghi, addomesticano il corpo, inscenano un EPOS.
Pathos
Il pathos è carica emotiva. Pervade ogni migrazione. La nostalgia per un sé passato agisce sotto traccia irrazionalmente, trattenuta da una ragione forse più irragionevole e ugualmente nostalgica: il futuro. Futuro, come desiderio di trovare il proprio posto nel mondo, non dentro confini spaziali ma ontologici. Un’istanza d’essere, negoziata fra consapevolezza, opportunità e convenzioni che oltre a essere desiderata va condizionata, addomesticata.
È il motivo per cui a un certo punto dell’erranza si sente il bisogno di “fare casa”, perché lo spaesamento può terminare soltanto con un appaesamento. Bisogna allora trovare un ormeggio, un luogo a cui agganciare la propria dispersione. Lo si farà attorno a un oggetto che durante il viaggio ci ha seguito come un corredo, un “luogo minore” che, come un pegno o un talismano, permette di portare con sé ciò che si è lasciato indietro (Meschiari, 2024). Come la madeleine di Proust questo oggetto-casa carico di pathos ricongiunge alla provenienza.
> Nelle fotografie: oggetti-corredo emergono da un fondo imperscrutabile. Stanno, come natura morta, sospesi fra movimento e fissità. Ancoraggi utili a “fare casa” carichi di PATHOS.
BIO
SUOLOcollettivo è un progetto artistico-speculativo nato nel 2023, su progetto di Taryn Ferrentino (Napoli, 1972) che ne è curatrice e progettista degli allestimenti. Accorpa fotografia, arti visive e altri saperi. Ne fanno parte come fotografe/i: Giulia Flavia Baczynski (Verona, 1982), Errico Baldini (Islington GB, 1963), Rossella Di Micco (Benevento, 1982).
L’opera di esordio COSMOGRAFIA presentata al Festival della Fotografia Europea 2024 ha vinto il premio “MAX SPREAFICO” come MIGLIOR PROGETTO OFF 2024.
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