Sofia Vezzani

Avere vent’anni significa vivere un conflitto interiore profondo: un’età di transizione, di ricerca identitaria, in cui si tenta con irruenza di affermarsi e trovare il proprio posto nel
mondo. È una lotta duplice, contro il mondo esterno e contro sé stessi. Il confronto con l’esterno si riflette nel concetto di Festina Lente, espressione latina che unisce in un
ossimoro due opposti: velocità e lentezza. La società chiede ai ventenni di essere rapidi e infallibili, di raggiungere obiettivi precisi con scelte ponderate, senza margine di errore.
Ma questa pretesa stride con l’età biologica, in cui per trovarsi bisogna perdersi, più volte.
Nel ventenne convivono due forze opposte: da un lato l’impeto, la violenza di chi cerca di affermarsi; dall’altro l’incoscienza e la vulnerabilità che caratterizzano questa fase della
vita. La boxe diventa la metafora perfetta di questi dualismi. Il ring non è solo un luogo di scontro, ma anche di incontro. Delimita uno spazio fisico e simbolico, dove si intrecciano
il dentro e il fuori, il sé e l’altro. I pugili, prima di colpirsi, si avvicinano, quasi in un abbraccio. Chi è l’avversario? L’altro, gli altri o forse una parte di sé?
Le protezioni dei combattenti arricchite da brillantini aggiungono un ulteriore livello di significato. Indossano in questo modo un’armatura fragile, nel tentativo di mascherare la
vulnerabilità con un’apparenza brillante e appariscente. Allo stesso tempo, i glitter richiamano il Festina Lente: l’invito a brillare senza sporgersi troppo, a proteggersi evitando
rischi eccessivi.
Sotto questa superficie luccicante, però, si intravede il tumulto: la violenza e l’innocenza, la forza e la fragilità. È una tensione che definisce l’essere ventenni, in un’età che
richiede di abbracciare il caos per trovare la propria identità.