Avere vent’anni è il sogno di tutti. Un sogno che tuttavia passa troppo in fretta: non però senza riempire, svuotare, ferire e far rifiorire qualcosa. Tra contrapposizioni emotive e sociali, chiunque abbia avuto vent’anni sa che come pochi altri momenti nella vita questo è quello che più lascia segni indelebili sulla pelle di ciascuno, persino della Storia.
I vent’anni di ieri non sono i vent’anni di oggi, e non saranno nemmeno i vent’anni di domani e di dopodomani.
In una nota canzone, i Maneskin cantano: «C’ho vent’anni, perciò non ti stupire se dal niente faccio drammi, ho paura di lasciare al mondo soltanto denaro e che il mio nome scompaia in mezzo a quello di tutti gli altri».
Vent’anni vuol dire anche cercare di splendere, di brillare, perché è il momento in cui tutto brilla di più e con più convinzione.
La storia insegna che a vent’anni molti hanno avuto la forza di dire o fare qualcosa di importante, perché è come se una linfa vitale più forte avvolgesse la persona in quanto tale, con le sue idee e i suoi sogni, appunto.
Qualcosa però cambia a seconda dell’ordine dei tempi in cui questa età viene vissuta, e non esiste una ricetta temporale giusta, ma certo esiste un tempo e uno spazio diverso in cui qualcosa di questa età può essere affermato o fatto con più convinzione.
La difficoltà passa per le vie delle molteplici rivoluzioni e nuove sfide che hanno riguardato l’essere umano, sempre più lontano dall’arte in quanto tale, e sempre più avvolto in un meccanismo di globalizzazione che uniforma e omologa tutto.
La distinzione diventa dunque il traguardo più difficile da solcare.
In questo breve viaggio, la mostra “Specchi di Metamorfosi” di Cristiano Lugli e Concy De Paola racconta di due realtà a confronto, tanto apparentemente diverse quanto più che mai simili, ambedue ambiziose di brillare di una luce propria, che sappia rischiarare le ombre dell’occlusione di cui si sono circondate.
Ansie, paure, un filo sottile fra reale e fantastico, pronto tuttavia a guardarsi negli occhi senza filtri.
Per ritrovarsi. Per ritrovare ciò che si pensava perduto ma che, in fondo, è sempre stato lì.