Through the glass
Ci sono momenti in cui ci si guarda vivere, come attraverso un vetro. Il mondo scorre davanti agli occhi, ma qualcosa separa, distorce, sovrappone. Un riflesso mescola l’interno e l’esterno, il sé e l’altro, il reale e il percepito. È in questo spazio ambiguo, fatto di soglie, di identità frammentate e della ricerca di sé, tra il visibile e l’invisibile, che si muove questa mostra.
Avere vent’anni è forse come specchiarsi nel riflesso di un vetro: ogni passo svela una parte di sé, ma l’immagine restituita è sempre frammentata, sfuggente. È un’età sospesa tra possibilità infinite e incertezze paralizzanti, tra il desiderio di appartenenza e la paura di perdersi. Ogni riflesso è una domanda, ogni trasparenza un confine incerto tra chi siamo e chi potremmo diventare.
Esposta sulle vetrine di un bar, la fotografia dialoga con la superficie stessa che la ospita. Le immagini diventano parte del luogo, si fondono con le luci della città, con il passaggio di chi osserva, con la quotidianità che continua a fluire dall’altra parte del vetro. Ogni scatto racconta la frammentazione, l’incertezza si riflette su superfici trasparenti, ma mai del tutto limpide. C’è una distanza tra il dentro e il fuori, tra l’individuo e il contesto urbano, tra il desiderio di appartenenza e il bisogno di rimanere spettatori di se stessi.
Le figure ritratte sono sospese, immerse in un viaggio interiore, assorte in un tempo indefinito. Lo spazio urbano diventa uno specchio, una cornice mutevole che assorbe i loro pensieri e li restituisce deformati, mescolati con il paesaggio. Le trasparenze creano connessioni inaspettate, cancellano i confini tra le persone e l’ambiente, rendendo labile la separazione tra identità e luogo.
In un bar, luogo di incontro e condivisione, i riflessi delle fotografie si confondono con quelli reali delle persone che si fermano per bere un bicchiere o si perdono in una conversazione. Chi osserva diventa a sua volta parte dell’immagine, il proprio volto si intreccia con quello di un passante sconosciuto, con la sagoma di chi guarda dall’altra parte della vetrina, con l’ombra di chi è già andato via. È un invito a fermarsi, a interrogarsi su chi siamo, su come ci vediamo e su quanto di noi si disperde nelle superfici che ci circondano, e attraverso il nostro sguardo sulla realtà, in costante movimento.
Nel contesto del festival, che esplora il passaggio all’età adulta come una “linea d’ombra” tra ciò che è stato e ciò che sarà, le immagini raccontano di una una realtà liquida, dove avviene la costruzione della propria personalità, delle aspettative sociali, in parallelo a mutamenti della società, a crisi economiche e trasformazioni tecnologiche che rendono ogni certezza precaria.
Attraverso le superfici riflettenti, emergono le contraddizioni di questo tempo: la connessione costante e l’isolamento, la libertà e lo smarrimento, il desiderio di autenticità e la frammentazione dell’io.
In bilico tra intimità e distanza, tra presenza e assenza, questa mostra è un viaggio nei riflessi della nostra identità in continuo mutamento.
Un viaggio lungo un addio
– Note
Qualcuno una volta disse che ricordare è come guardare attraverso un vetro appannato.
Le fotografie che stiamo osservando incoraggiano il nostro sguardo a farsi strada nella densità delle superfici che le attraversano.
Vetri, finestre e ancora vetrine e specchi, addensano le immagini riflesse al di là e al di qua del nostro sguardo, in un’esistenza fatta di soglie, luoghi di confine.
La prospettiva che nasce è sempre quella di un suo superamento, o di una sospensione. È una tensione che definisce il rapporto tra dentro e fuori, prima e dopo, la continuità tra ciò che è e ciò che non è ancora, o non sarà mai.
Ponte e cesura, la soglia ci pone in una dimensione di complementarietà e non opposizione tra assenza e presenza.
A tutti i soggetti che incontriamo sembra mancare qualcosa, quasi a cercare ostinatamente di farne a meno. È questa una forma di assenza, o è forse devozione?
Tutto è sull’orlo di succedere o di non succedere affatto. Tutto può essere un incontro, o un addio.
Gran parte di ciò che si vede può essere compreso solo attraverso la progressione dello sguardo, immaginando una realtà che ha un senso più profondo di quella che vediamo nello spazio ridotto della fotografia in cui le cose stanno andando alla deriva e accadono realmente fuori da quei bordi.
Tutto sta in quello che succede all’esterno dell’immagine, al di là di questa e, dunque, attraverso.
La realtà è in parte vera e in parte inventata.
Si può abitare questo spazio fuori campo per creare una nuova narrazione delle cose, per farle succedere. Cosa si incontrerà o si lascerà?
Lo sguardo si protende per sottrazione e il possibile racconto procede tramite soglie, visive e narrative. Il rimosso, il non visto, è la chiave della poetica di queste immagini che raccontano senza mostrare. Il senso di quello che vediamo è confinato nell’anti-spazio della sottrazione narrativa: tutto avviene fuori campo.
L’azione scompare, è come se appartenesse a un segreto, un ricordo, o un altrove.
Non esiste mai una visione d’insieme, gli elementi delle fotografie concorrono a ricreare degli ambienti metafisici, come in una proiezione mnemonica, un diorama onirico, in una tensione che sta tra l’attesa che qualcosa attraversi la soglia o che venga ricordato.
“La memoria nasce dal senso della perdita, dal sentimento della mancanza”.
Secretus, p. pass. di secernĕre ‘separare, mettere in disparte’ / nascosto; che viene custodito senza essere rivelato
Forse la memoria (o il sogno?) è l’unico luogo che possiamo realmente attraversare (“i sogni sono ricordi perduti”?).
Stiamo dunque guardando o ricordando? Stiamo ricordando o sognando ciò che accadrà?
Lucio Macrì · Instagram: @__bruss__